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miiiiiiiii!! l’ho svegliato!!! e si misi a vuciare in inglese!!! e sa pigghio cu mia!! io non lo capisco!! prima dice di svegliarlo e poi si incazza!! Ma!! sti cantanti!!
Vorrei Fare una precisazione: “Wake me up when September ends ” fa parte dell’album “American Idiot” pubblicato il 21/09/2004 quindi si presume che il mese di settembre presunto sia quello del 2004 e non quello del 2005!! quindi penso che non serva svegliarlo nel 2005 visto che lo è già nel settembre del 2004!! (Profumo tintu Acid)
prima grande stron*ata…l’album nn è uscito per nulla a settembre del 2005…e poi non toccatemi i green day pkkè o si no v’accir a tutt’quant cumm stat….
avete mai sentito una musica più spettacolare di quella dei green day???al diavolo tutte quelle stro***te ke si dicono su di loro……………SONO I MIGLIORI!!!!!!!!!!!!!!!!!!
questa canzone è davvero bellissima mi stupisce cm1 fatto kosi terribile cm la morte del padre possa poi dare inizio ad una figata simile
6 grande billie joe!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
W GREEN DAY 4ever and ever!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
W I GREEN DAY sn i migliori cm si fa a nn dirlo affanculo quelle grandissime cagate k si dicono di loro 6 GRANDE BILLIE JOE !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
la storia di questa canzone è “abbastanza” toccante, Alba.
Il video e il testo sn separati.
Il video racconta la storia di 2 ragazzi. Lui va in guerra e li vi muore. E si capisce il dolore che prova la ragazza per aver perso questa persona.
La storia del testo invece è questa:
Settembre 1982, Rodeo, California
Lo sguardo della Mamma sembrava terribilmente preoccupato, mentre parlava al telefono. Continuava ad annuire e si attorcigliava il filo del telefono sempre di più attorno al dito.
“Si, sì certo, capisco… Si… Va bene, d’accordo. Grazie, Dottore”.
Con lentezza mise la cornetta al suo posto e, sempre lentamente, si girò verso il tavolo della cucina, dov’erano seduti i suoi bambini.
Abbozzò un sorriso, che non riuscì a nascondere l’ansia sul suo viso e disse: “Bene, ragazzi… L’operazione di Papà non ha avuto complicazioni e sta rispondendo bene agli antibiotici, il Dottore ha detto che potremo andarlo a trovare in Ospedale questo pomeriggio, vi va?”
Holly e Billie sorrisero alla Mamma: “Siii! Dai, andiamo, andiamo!” strillò Holly, “Vengo anch’io, vengo anch’io! Posso, Mamma? Ti prego…” la implorò Billie, fissandola coi suoi grandi occhi verdi.
Il sorriso della Mamma si addolcì: “Ma certo che puoi venire, Billie. A Papà farà piacere vederti”.
Poi guardò gli altri: “E voi? Non volete venire?”
Allen, Marcy, David e Anna si guardarono, poi fissarono la Mamma: “Certo che veniamo, Mamma!” esclamò Allen. Marcy e David annuirono, sorridendo. Solo Anna non disse nulla, evitando lo sguardo della Mamma.
La Mamma sembrò riprendersi un po’: “Bene, allora coraggio: tutti a scuola di corsa! Non fate tardi, oggi pomeriggio: alle quattro si sale in auto e si va all’Ospedale. Chi c’è, c’è, non si aspettano i ritardatari!”
Detto questo si voltò verso la radio, accendendola.
In un attimo la cucina si riempì della tanto amata dalla Mamma musica country, convincendo tutti gli occupanti a defilarsi in fretta e furia.
“Che bello, andiamo a trovare Papà!” esclamò Billie ad un tratto lungo la strada “Sei contenta, Anna?”
Anna lo guardò per un momento senza vederlo. “Ehi, Anna! Non sei contenta?” ripeté Billie, guardandola scocciato.
Lei si riprese: “Ma certo che sono contenta!” rispose con un sorriso, “Siamo tutti contenti, vero ragazzi?” proseguì, guardando i suoi fratelli.
“Certo!” sorrise Allen, imitato subito da Marcy e David. Holly per tutta risposta rise, con la sua risata argentina.
Proseguirono in silenzio fino alla scuola elementare. “Bene,” disse Anna, “BJ, ti prego, oggi non far uscire di nuovo la maestra fuori di testa, ok? Cerca di comportarti civilmente, per una volta, altrimenti ti terrà di nuovo in punizione di pomeriggio e non potrai venire da Papà, chiaro?”
Billie fece una faccia seria e asserì: “Non ti devi preoccupare, Anna, oggi sarò bravissimo!”
“Bene. Allora, ragazzi, ci vediamo più tardi” salutò Billie, Holly e Allen e si avviò verso la sua scuola, seguita da Marcy e David.
“Ciao, Mike!” esclamò Billie, facendo un cenno all’amico.
“ ‘Ao, Bill.” rispose lui “Allora, com’è?”
“Troppo forte! Te la riporto domani, ok? Ho chiesto a Mamma di sdoppiarmela, ma ieri non ha avuto tempo”.
Mike sorrise, tirando un amichevole pugno al compagno: “Non c’è problema!”
Si avviarono in classe, chiacchierando.
“Ehi, oggi vieni da me? Ci sono i Robinson davanti a casa mia che si trasferiscono e stanno vendendo i vecchi mobili e cose così. Stamattina ho dato un’occhiata e c’è una cassa piena di dischi e cassette. Scommetto che troviamo qualcosa di interessante. Il signor Robinson mi ha detto che mi fa metà prezzo per ogni articolo… Ti va?”
Billie abbassò lo sguardo: “Non… non posso, Mike. Vado… Devo andare a trovare Papà all’Ospedale…”
“Oh. Oh, capisco… Beh, non ti preoccupare, farò un giro io e vedrò cosa trovo anche per te, ok?”
Billie annuì, ma avevano entrambi perso entusiasmo.
Finalmente furono le tre e mezza. Billie uscì da scuola, si unì ad Allen e Holly e insieme aspettarono Anna, David e Marcy. Di solito ognuno andava a casa per conto suo, mettendoci anche tre quarti d’ora, ma non quel giorno.
Arrivarono a casa tutti insieme e salirono in auto con la Mamma.
Durante il viaggio parlarono tutti pochissimo. Billie canticchiava una melodia che aveva in mente dalla mattina ma che ancora non aveva trovato il tempo di scrivere. Provò a metterci su le parole, ma senza averla scritta davanti era difficile.
“Summer has come and pass, the…” ci pensò su, si scrisse virtualmente le note sulla mano “The innocent can… can never last…”
“E finiscila!” esclamò David, tirandogli un pugno sulla spalla “Stai un po’ zitto?”
“Ahia! Mamma, David mi ha picchiato!”
La Mamma scoccò uno sguardo gelido a David, prima di girarsi di nuovo verso la strada: “David, per cortesia! Forza, chiedi subito scusa a Billie! Non stava facendo niente di male…”
David l’interruppe, furioso: “Ma è possibile che devi sempre difenderlo? Non è più un bambino, Mamma! Non potrai proteggerlo all’infinito, lo capisci? Deve smetterla con questa stupidata di cantare! Lo dici anche tu che la musica non compra da mangiare e non paga l’affitto! Quando lo capirà?”
“Cosa dovrei fare, David? Dovrei impedirgli di ascoltare musica quando sono io la prima ad accendere la radio? Quando si ascolta musica è naturale prima o poi provare a scriverne, non credere che non l’abbia fatto anch’io, a mio tempo! Mio Dio, non è che un bambino, David!”
“No, non lo è più, Mamma! Non è più un bambino! Ha dieci anni, Cristo santo, dieci anni! Io a dieci anni già mi alzavo alle cinque per fare il giro dei giornali! Noi è da quando siamo riusciti a tenerci in piedi che sgobbiamo per portare due soldi a casa, e lui? Lui canta! Sai cosa, Mamma? Hai ragione: è un bambino! È solo un bambino immaturo! Perché lo devi trattare come se fosse diverso da noi? Perché fai così? Perché lo tratti come se gli volessi più bene?”
Cadde un pesante silenzio nell’auto.
La Mamma guidava senza parlare; Marcy, Allen e Holly erano atterriti e anche un po’ impauriti dall’esplosione di David; Anna guardava fuori dal finestrino con lo sguardo annebbiato e Billie… Già, Billie.
Mentre David parlava, lui si era ritratto contro il finestrino, ascoltando ogni sillaba che il fratello gli aveva sputato in faccia.
‘È vero’ pensò. Due lacrime salirono ad allagargli gli occhioni verdi ‘È vero, ha ragione lui… Sono un bambino… Sono solo un bambino…’ Stoicamente, ma con molti sforzi, ricacciò indietro le lacrime e rimase a fissarsi la punta delle consunte scarpe verdi fino a quando arrivarono all’Ospedale.
“La signora Armstrong, giusto? Salve, io sono il Dottor McCormack”. Una mano tesa e un ampio sorriso, annegati in un camice bianco.
“Salve, Dottore. Mio marito…?”
“Sta bene, non si preoccupi. Come le ho detto la scorsa settimana dopo l’operazione, ha superato bene l’intervento, non dovrebbero esserci complicazioni. Ora purtroppo è sotto l’effetto dell’anestesia dopo il controllo di questa mattina e non si è ancora svegliato del tutto. Se vuole può entrare lei, ma i bambini sarebbe meglio lasciarli fuori, non è nelle condizioni di riconoscerli, ora. Tra una mezz’ora l’anestetico dovrebbe aver finito il suo effetto, a quel punto potranno entrare anche loro, le va bene?”
“Ma certo, nessun problema. Anna, guarda i ragazzi per una mezz’ora, per favore. E tu, David… ti prego…” lo supplicò la Mamma, senza aggiungere niente.
Lui, per tutta risposta annuì e lei si allontanò, seguendo il Dottore.
“Bene, ragazzi, non fate chiasso, ok? Billie, Holly, perché non andate a prendervi una bibita? Ho visto un distributore nell’ingresso. Fate attenzione, però, e non ciondolate troppo in giro, chiaro?”
“Tranquilla, Anna!” rispose Holly. Poi entrambi afferrarono le due monete che la sorella porgeva loro e schizzarono via.
Trovarono il distributore, presero le loro bibite e girarono per un po’, finché arrivarono al reparto di riabilitazione. Si soffermarono a guardare i poster colorati con i disegni esplicativi delle primarie condizioni igieniche e Billie, quasi inconsapevolmente, si mise a canticchiare la stessa melodia di prima: “Summer has come and pass… The innocent can never last…” ma non trovava un seguito decente.
Nel reparto c’erano una decina di pazienti, per lo più anziani, con fasciature più o meno ingombranti alle braccia o alle gambe. Un vecchietto con una lunga barba bianca salutò Billie: “Ciao, giovanotto! Cosa ci fa un ragazzino sano come te in mezzo a questi vecchi bacucchi malandati?”
Billie sorrise: “Sto aspettando di poter vedere il mio Papà. Sono quasi due settimane che è in Ospedale, ma ora sta meglio!
“Davvero? Beh, spero proprio che stia bene, ragazzo! Dimmi un po’, cos’è che stavi cantando? Non sarà mica una di quelle canzonacce del giorno d’oggi, vero?”
“Oh, no, signore! È una canzone che ho scritto io! Cioè, devo ancora scriverla, ma…”
“Sai, figliolo, che non era niente male? Cantamela di nuovo un po’…”
Così Billie cantò un’altra volta quelle due strofe, poi si bloccò: “Ecco, vede? Non riesco a trovare un seguito…”
Il vecchietto sorrise: “Non ti preoccupare. Tu fa’ una cosa: appena arrivi a casa, scrivi le note per non dimenticartele e metti via lo spartito. Se non ti vengono in mente ora, le parole, ti verranno poi, sta’ sicuro! Se non le trovi adesso, vuol solo dire che non è il momento giusto, tutto qui.”
Billie rispose al sorriso: “Va bene, farò così!”
In quel momento arrivò di corsa Marcy: “Dove vi eravate cacciati, voi due? Forza, andiamo, possiamo entrare da Papà, adesso! Muovetevi!”
Billie fece ancora un cenno al signore e si girò per andarsene. “Ancora una cosa, giovanotto:” lo bloccò l’uomo “come ti chiami?”
“Billie, signore. Billie Joe” rispose, prima di correre via.
“Ah, eccovi! Dove diavolo eravate finiti? Va beh, va beh, fa lo stesso! Forza, muovetevi! E non fate chiasso, deve riposare!” li riprese la Mamma, quando finalmente arrivarono anche loro.
Entrarono nella stanza e videro il Papà sdraiato nel letto, attorniato da macchine che facevano strane luci e fili che terminavano in aghi conficcati nelle sue braccia.
“Andy… Andy, tesoro, apri gli occhi. Saluta i bambini che sono venuti a trovarti. Andy…”
Il Papà aprì a fatica un occhio e abbozzò un sorriso: “Ciao, Ollie. Ciao, ragazzi. Oh, ma siete venuti proprio tutti! Che carini, non dovevate…”
“Non dire sciocchezze, Pà! Non vedevamo l’ora di vederti!” esclamò Holly, posandogli un bacio su una guancia.
Lui la guardò e sorrise: “La mia piccolina, la mia piccola Holly… Come stai, tesoro? E tu, Allen? E David, Anna, Marcy? State tutti bene? La scuola? E Bill? Perché non vedo Bill? Non è venuto?” chiese il Papà, un po’ deluso.
“Ma no, Pà, sono qui!” disse Billie, sporgendosi a salutarlo. Il Papà sorrise: “Ah, eccoti! Scusa, piccolo, non ti avevo visto… Forza, ditemi come state! Voglio sapere cosa succede nel mondo e nella mia famiglia!” li incitò.
Così, chiacchierarono per un po’. Raccontarono al Papà ogni cosa, dal tifone sulla costa orientale ai monelli che imbrattavano di sabbia il bucato della vecchia Clayton. Fu felice, quando sentì che Marcy aveva preso una A nel compito di matematica e se la prese, ma non troppo, quando Allen gli confessò di aver preso una nota dall’insegnante di musica perché l’aveva beccato mentre costruiva grattacieli con i triangoli.
“E tu, Bill, con la tua musica? Hai ancora scritto canzoni?”
David si agitò sulla sedia, ma prima che potesse parlare, Billie disse, entusiasta: “Si, Papà, ne ho scritta ancora una, la scorsa settimana e adesso ne sto facendo un’altra. Però non mi vengono le parole…”
“Prima la musica, Bill, e poi…”
“…e poi le parole. Lo so, lo so. Infatti la musica l’ho quasi finita, sono solo le parole che non riesco a trovare!”
“Forse è perché non senti bene le note. Che dici, con una base ben fatta riusciresti a trovarle?”
“Potrei provarci, sarebbe più facile. Perché?” chiese incuriosito Billie.
Il Papà allora fece un cenno alla Mamma. Lei prese un pacco lungo e affusolato da dietro il comodino traballante e lo porse a Billie, che rimase a bocca aperta con quel regalo tra le mani.
“Allora, non lo apri? Voglio vedere se ti piace”, lo incoraggiò il Papà
Con le mani sudate, Billie scartò lentamente il pacco, mentre Holly tormentava il Papà: “Che cos’è, Pà? Perché l’hai dato a Billie? Volevo anch’io un regalo!”
“L’ho dato a Bill, tesoro, perché so quanto ci tenesse, a questa cosa. E perché voglio che continui a tenerci…”
Billie aveva finito di scartare il pacco: quella che teneva tra le mani era una chitarra elettrica, blu, meravigliosa. Rimase a bocca spalancata con la chitarra in mano ad osservarla estasiato. “L’ho presa da un mio amico rigattiere giù a Berecley e gli ho sostituito le corde. Dovrebbe essere abbastanza intonata. Ti piace?”
Billie non riuscì a spiccicare una parola. Continuava a guardare ad intermittenza la chitarra e il Papà a bocca aperta.
Il Papà lo guardò e scoppiò a ridere: “Bene, figliolo, vedo che ti piace. Sono contento, ora però devi metterti d’impegno: per il mio ritorno a casa voglio sentire quest’ultima misteriosa canzone senza parole completata, è chiaro?”
Billie sorrise, rosso d’eccitazione: “Certo, Pà! Puoi contarci!”
“Bene!”
In quel momento bussarono alla porta: era l’infermiera con lo sgradevole compito di buttarli fuori, perché l’orario delle visite era finito da un pezzo.
Tutti quanti salutarono il Papà e uscirono. “Ciao, Andy. Riguardati.”
“Ciao, Ollie. Non essere triste, stai facendo un lavoro meraviglioso con questi ragazzi: sei una mamma perfetta e loro sono dei figli perfetti. Non vedo l’ora di potermi togliere questi aghi e venire a casa”.
La Mamma sorrise e per un momento non fu più la Mamma, ma solo Ollie. Ollie che fissava Andy ed Andy che fissava Ollie.
Poi aprì la porta e gli fece ancora un cenno di saluto, prima di uscire.
“L’ho visto bene, molto bene, Mamma. Cosa dice il Dottore?”
“Lo hai sentito, Anna, dice che va tutto bene, che il tumore è stato asportato con facilità e che sta rispondendo bene alle cure di controllo”.
“No, Mamma, intendevo cosa ha detto a te che non poteva dire a noi”.
La Mamma rimase in silenzio per qualche momento. Era piuttosto tardi, i bambini erano a letto da un pezzo e non c’era il rischio che potessero sentire.
Sospirò: “Beh… Mi ha detto che è abbastanza sicuro della completa riuscita dell’intervento, a quanto si può vedere dalle TAC e dalle risonanze magnetiche, sembra che siano riusciti ad asportarlo del tutto, solo…”
“Solo… che cosa, Mamma?”
Ancora un attimo di silenzio.
“Solo che dagli ultimi esami sembra che ci sia… una macchia, un’ombra… non so come dire. Il Dottore ha detto che non è niente di preoccupante, probabilmente è solo un’imperfezione nella stampa della radiografia, ma…” Non riuscì a finire la frase, la voce spezzata.
Anna sospirò, prendendo una mano della Mamma e rimasero lì, a guardarsi, per darsi coraggio l’un l’altra.
Dietro la porta chiusa della cucina, Billie strizzò gli occhi e strinse più forte il suo bicchiere vuoto, tornando in camera in punta di piedi.
Si buttò sul letto, ma non pianse come avrebbe voluto fare. Invece si inginocchiò e pregò. Anche se non lo aveva mai fatto, quella volta pregò. Non sapeva come fare, perché nessuno era mai stato ad insegnarglielo, così improvvisò: “Caro Dio, scusa se ti prego solo adesso, ma ho davvero bisogno che tu mi aiuti. Vedi, il mio Papà sta male, ma se tu volessi farlo stare bene, mi faresti un grandissimo favore. Ti prego, ne ho davvero bisogno, di questo favore. Perché ho bisogno del mio Papà. Tutti noi abbiamo bisogno di lui: la Mamma, Holly, Anna, Marcy, Allen e pure David, anche se non sembra.” rimase un momento in silenzio, perplesso sul come terminare “Dai, Dio, non è tanto, quello che ti chiedo, no? Non ti ho mai chiesto niente, questo favore puoi farmelo. Grazie mille, Dio. Se mi fai questo favore, giuro che ti pregherò più spesso per ringraziarti!”
Come avrebbe detto Billie anni dopo, quella sera Dio non era in casa e aveva la segreteria staccata.
Quasi una settimana dopo, all’ora di cena suonò il telefono e già lo squillo prometteva brutte notizie.
“Pronto, casa Armstrong” rispose la Mamma “Si, sono io, mi dica”. Di colpo sbiancò e cominciò a balbettare: “C-complicazioni? Mi scusi, c-che genere di complicazioni?” rimase un attimo in silenzio e poi prese a tirare su col naso, annuendo: “Si, si certo…No, no, nessun… nessun problema. Si, certo, vengo subito!”
Si voltò verso i ragazzi e disse: “Andiamo, salite in macchina, svelti!”
Nessuno chiese spiegazioni.
La Mamma guidò velocemente verso l’Ospedale ed entrarono in fretta.
Ad aspettarli c’era il Dottore dell’altra volta, ma ora non sorrideva. Aveva il viso tirato e quando vide la Mamma, allargò la braccia, lasciandole ricadere sui fianchi: “Mi dispiace” disse solo “Abbiamo fatto il possibile, ma ci siamo resi conto della grandezza del tumore troppo tardi: è ricomparso e si è diffuso molto velocemente. Non ci sono ancora rimedi, per casi del genere. Condoglianze, signora”.
Dopodiché si voltò e sparì in un reparto.
Per un lungo minuto nessuno parlò, pietrificati nella posizione in cui erano.
Poi, con una lentezza terribile, la Mamma si diresse verso una sedia e vi si lasciò cadere: “Andy…” mormorò “Andy…”
Anna le si sedette a fianco e l’abbracciò, ma lei continuava a dondolarsi avanti e indietro e a ripetere il nome del marito.
Pian piano tutti si andarono a sedere vicino alla Mamma, ma Billie rimase immobile.
Alla fine si voltò e chiese: “Ma cos’è successo? Perché piangete? Papà non può mica essere…”
“È morto, stupido! Papà è morto! Lo vuoi capire? Morto, freddo e stecchito! Ed è tutta colpa di questi medici incapaci che con le loro ricette e i loro ‘non si preoccupi’ non riescono a fare niente! Niente! Mio padre è morto per colpa vostra, avete capito? È tutta colpa vostra, fottuti ladri! Ci avete rubato Papà, gli avete rubato la vita per provare i vostri stupidi rimedi inutili! È tutta colpa vostra! Tutta colpa vostra…” esplose David, mentre le lacrime gli scendevano sulle guance, e, a poco a poco, il grido convulso a rabbioso si trasformò in un rantolo e lui scoppiò a piangere senza ritegno.
Solo allora Billie si rese veramente conto di quello che era successo.
Suo padre era morto. Morto. Morto. Andy Armstrong, il più grande jazzista di Rodeo e dintorni era morto. Era il suo Papà. Ed era morto.
Si accasciò in terra e pianse più di tutti. Tra le lacrime inveiva contro l’Ospedale, i dottori e soprattutto verso Dio: “Non mi hai fatto nemmeno questo favore! Sei un bastardo! Un bastardo! Hai fatto morire Papà perché eri invidioso di me, perché tu non ce l’hai, un papà! Ti odio, ti odio, ti odio! Mi senti? Ho detto che ti odio! Non ti aveva fatto niente di male, e tu l’hai fatto morire così! Bastardo! Bastardo!”
Gridò fino a perdere la voce, e poi continuò a piangere.
Ce l’ha con Dio ancora adesso…
Quando arrivarono a casa, Billie giaceva sfinito tra le braccia di Anna. La sorella lo mise a letto, accompagnò a dormire la Mamma e Holly; poi se ne andò a letto anche lei, seguita da David, Marcy e Allen.
Nel cuore della notte, Billie si svegliò. Prese da sotto il cuscino una spartito e una penna e scrisse tutte le note della canzone, poi mise lo spartito in una scatola e la chiuse a chiave in un cassetto.
Guardò fuori dalla finestra: “Te l’ho promesso, Papà: ti canterò questa canzone, quando tornerai a casa…”
«Summer has come and pass,
the innocent can never last,
wake me up when september ends
Here comes the rain again
falling from the stars,
drenched in my pain again,
becoming who we are…
As my memory rests,
but never forgets what I lost,
wake me up when september ends
Like my father’s come to pass,
twenty years has gone so fast
Wake me up when september ends… »
*
«L’estate è arrivata ed è finita,
l’innocenza non può mai durare,
svegliami quando settembre è passato…
Qui arriva di nuovo la pioggia
che cade dalle stelle,
immerso ancora nel mio dolore,
diventando quelli che siamo…
Mentre la mia memoria si riposa,
ma non dimentica mai quello che ho perso,
svegliami quando settembre è passato…
Come mio padre è riuscito a passarli,
vent’anni sono trascorsi così in fretta…
Svegliami quando settembre è passato…»
“Wake me up when september ends”
In molti si sono messi a piangere quando l’hanno letta o quando gli è stata raccontata.
Nonostante questa possa essere una storia “calcata” il + è tt vero: suo padre gli è morto quando lui era 1 bambino e, poco prima di andarsene, gli regalò Blue.
E, se c fate kaso, in Bullet In A Bible, quando la canta gli trema la voce e si vede che ha gli okki lucidi e, dopo averli kiusi, rivolge il suo sguardo al cielo.
Detto questo..
1) svegliare una persona ke dorme già e da scemi, se poi konsideriamo ke questa persona è 1 artista ke va in tour per mesi e ke nn può dormire 1 gran … m sembra + ke da scemi
2) nn puoi lamentarti se t manda a quel paese
3) nn dovresti nemmeno pensare d prenderlo x il kulo su 1 canzone kon un significato del genere!
Hai completamente ragione. Io mi sono messa a piangere dopo aver letto questa storia. Piango anche quando guardo il video live e quello ufficiale, e anche quando ascolto solo la canzone. Sono una persona sensibile. Troppo sensibile. Io mi chiedo come cazzo fate a scrivere cose del genere…VERGOGNATEVI. Non ho parole…se non sapete nemmeno che significato ha la canzone non scrivete cazzate del genere. Pensate se fosse accaduto a voi…sareste contente se qualcuno vi piglia per il culo per una cosa del genere? Pensateci. E vergognatevi per avere scritto quelle cose.
miiiiiiiii!! l’ho svegliato!!! e si misi a vuciare in inglese!!! e sa pigghio cu mia!!
io non lo capisco!! prima dice di svegliarlo e poi si incazza!!
Ma!! sti cantanti!!
Ahahaha! Questo post lo avevi “in canna” da tre mesi, confessa!
Confesso. :)
Vorrei Fare una precisazione:
“Wake me up when September ends ” fa parte dell’album “American Idiot” pubblicato il 21/09/2004 quindi si presume che il mese di settembre presunto sia quello del 2004 e non quello del 2005!! quindi penso che non serva svegliarlo nel 2005 visto che lo è già nel settembre del 2004!!
(Profumo tintu Acid)
Ma ragazzi, io nn ho capito tnt la storia della canzone. in k guerra è morto il padre di Billie Joe??
prima grande stron*ata…l’album nn è uscito per nulla a settembre del 2005…e poi non toccatemi i green day pkkè o si no v’accir a tutt’quant cumm stat….
avete mai sentito una musica più spettacolare di quella dei green day???al diavolo tutte quelle stro***te ke si dicono su di loro……………SONO I MIGLIORI!!!!!!!!!!!!!!!!!!
questa canzone è davvero bellissima mi stupisce cm1 fatto kosi terribile cm la morte del padre possa poi dare inizio ad una figata simile
6 grande billie joe!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
W GREEN DAY 4ever and ever!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
W I GREEN DAY sn i migliori cm si fa a nn dirlo affanculo quelle grandissime cagate k si dicono di loro 6 GRANDE BILLIE JOE !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
la storia di questa canzone è “abbastanza” toccante, Alba.
Il video e il testo sn separati.
Il video racconta la storia di 2 ragazzi. Lui va in guerra e li vi muore. E si capisce il dolore che prova la ragazza per aver perso questa persona.
La storia del testo invece è questa:
Settembre 1982, Rodeo, California
Lo sguardo della Mamma sembrava terribilmente preoccupato, mentre parlava al telefono. Continuava ad annuire e si attorcigliava il filo del telefono sempre di più attorno al dito.
“Si, sì certo, capisco… Si… Va bene, d’accordo. Grazie, Dottore”.
Con lentezza mise la cornetta al suo posto e, sempre lentamente, si girò verso il tavolo della cucina, dov’erano seduti i suoi bambini.
Abbozzò un sorriso, che non riuscì a nascondere l’ansia sul suo viso e disse: “Bene, ragazzi… L’operazione di Papà non ha avuto complicazioni e sta rispondendo bene agli antibiotici, il Dottore ha detto che potremo andarlo a trovare in Ospedale questo pomeriggio, vi va?”
Holly e Billie sorrisero alla Mamma: “Siii! Dai, andiamo, andiamo!” strillò Holly, “Vengo anch’io, vengo anch’io! Posso, Mamma? Ti prego…” la implorò Billie, fissandola coi suoi grandi occhi verdi.
Il sorriso della Mamma si addolcì: “Ma certo che puoi venire, Billie. A Papà farà piacere vederti”.
Poi guardò gli altri: “E voi? Non volete venire?”
Allen, Marcy, David e Anna si guardarono, poi fissarono la Mamma: “Certo che veniamo, Mamma!” esclamò Allen. Marcy e David annuirono, sorridendo. Solo Anna non disse nulla, evitando lo sguardo della Mamma.
La Mamma sembrò riprendersi un po’: “Bene, allora coraggio: tutti a scuola di corsa! Non fate tardi, oggi pomeriggio: alle quattro si sale in auto e si va all’Ospedale. Chi c’è, c’è, non si aspettano i ritardatari!”
Detto questo si voltò verso la radio, accendendola.
In un attimo la cucina si riempì della tanto amata dalla Mamma musica country, convincendo tutti gli occupanti a defilarsi in fretta e furia.
“Che bello, andiamo a trovare Papà!” esclamò Billie ad un tratto lungo la strada “Sei contenta, Anna?”
Anna lo guardò per un momento senza vederlo. “Ehi, Anna! Non sei contenta?” ripeté Billie, guardandola scocciato.
Lei si riprese: “Ma certo che sono contenta!” rispose con un sorriso, “Siamo tutti contenti, vero ragazzi?” proseguì, guardando i suoi fratelli.
“Certo!” sorrise Allen, imitato subito da Marcy e David. Holly per tutta risposta rise, con la sua risata argentina.
Proseguirono in silenzio fino alla scuola elementare. “Bene,” disse Anna, “BJ, ti prego, oggi non far uscire di nuovo la maestra fuori di testa, ok? Cerca di comportarti civilmente, per una volta, altrimenti ti terrà di nuovo in punizione di pomeriggio e non potrai venire da Papà, chiaro?”
Billie fece una faccia seria e asserì: “Non ti devi preoccupare, Anna, oggi sarò bravissimo!”
“Bene. Allora, ragazzi, ci vediamo più tardi” salutò Billie, Holly e Allen e si avviò verso la sua scuola, seguita da Marcy e David.
“Ciao, Mike!” esclamò Billie, facendo un cenno all’amico.
“ ‘Ao, Bill.” rispose lui “Allora, com’è?”
“Troppo forte! Te la riporto domani, ok? Ho chiesto a Mamma di sdoppiarmela, ma ieri non ha avuto tempo”.
Mike sorrise, tirando un amichevole pugno al compagno: “Non c’è problema!”
Si avviarono in classe, chiacchierando.
“Ehi, oggi vieni da me? Ci sono i Robinson davanti a casa mia che si trasferiscono e stanno vendendo i vecchi mobili e cose così. Stamattina ho dato un’occhiata e c’è una cassa piena di dischi e cassette. Scommetto che troviamo qualcosa di interessante. Il signor Robinson mi ha detto che mi fa metà prezzo per ogni articolo… Ti va?”
Billie abbassò lo sguardo: “Non… non posso, Mike. Vado… Devo andare a trovare Papà all’Ospedale…”
“Oh. Oh, capisco… Beh, non ti preoccupare, farò un giro io e vedrò cosa trovo anche per te, ok?”
Billie annuì, ma avevano entrambi perso entusiasmo.
Finalmente furono le tre e mezza. Billie uscì da scuola, si unì ad Allen e Holly e insieme aspettarono Anna, David e Marcy. Di solito ognuno andava a casa per conto suo, mettendoci anche tre quarti d’ora, ma non quel giorno.
Arrivarono a casa tutti insieme e salirono in auto con la Mamma.
Durante il viaggio parlarono tutti pochissimo. Billie canticchiava una melodia che aveva in mente dalla mattina ma che ancora non aveva trovato il tempo di scrivere. Provò a metterci su le parole, ma senza averla scritta davanti era difficile.
“Summer has come and pass, the…” ci pensò su, si scrisse virtualmente le note sulla mano “The innocent can… can never last…”
“E finiscila!” esclamò David, tirandogli un pugno sulla spalla “Stai un po’ zitto?”
“Ahia! Mamma, David mi ha picchiato!”
La Mamma scoccò uno sguardo gelido a David, prima di girarsi di nuovo verso la strada: “David, per cortesia! Forza, chiedi subito scusa a Billie! Non stava facendo niente di male…”
David l’interruppe, furioso: “Ma è possibile che devi sempre difenderlo? Non è più un bambino, Mamma! Non potrai proteggerlo all’infinito, lo capisci? Deve smetterla con questa stupidata di cantare! Lo dici anche tu che la musica non compra da mangiare e non paga l’affitto! Quando lo capirà?”
“Cosa dovrei fare, David? Dovrei impedirgli di ascoltare musica quando sono io la prima ad accendere la radio? Quando si ascolta musica è naturale prima o poi provare a scriverne, non credere che non l’abbia fatto anch’io, a mio tempo! Mio Dio, non è che un bambino, David!”
“No, non lo è più, Mamma! Non è più un bambino! Ha dieci anni, Cristo santo, dieci anni! Io a dieci anni già mi alzavo alle cinque per fare il giro dei giornali! Noi è da quando siamo riusciti a tenerci in piedi che sgobbiamo per portare due soldi a casa, e lui? Lui canta! Sai cosa, Mamma? Hai ragione: è un bambino! È solo un bambino immaturo! Perché lo devi trattare come se fosse diverso da noi? Perché fai così? Perché lo tratti come se gli volessi più bene?”
Cadde un pesante silenzio nell’auto.
La Mamma guidava senza parlare; Marcy, Allen e Holly erano atterriti e anche un po’ impauriti dall’esplosione di David; Anna guardava fuori dal finestrino con lo sguardo annebbiato e Billie… Già, Billie.
Mentre David parlava, lui si era ritratto contro il finestrino, ascoltando ogni sillaba che il fratello gli aveva sputato in faccia.
‘È vero’ pensò. Due lacrime salirono ad allagargli gli occhioni verdi ‘È vero, ha ragione lui… Sono un bambino… Sono solo un bambino…’ Stoicamente, ma con molti sforzi, ricacciò indietro le lacrime e rimase a fissarsi la punta delle consunte scarpe verdi fino a quando arrivarono all’Ospedale.
“La signora Armstrong, giusto? Salve, io sono il Dottor McCormack”. Una mano tesa e un ampio sorriso, annegati in un camice bianco.
“Salve, Dottore. Mio marito…?”
“Sta bene, non si preoccupi. Come le ho detto la scorsa settimana dopo l’operazione, ha superato bene l’intervento, non dovrebbero esserci complicazioni. Ora purtroppo è sotto l’effetto dell’anestesia dopo il controllo di questa mattina e non si è ancora svegliato del tutto. Se vuole può entrare lei, ma i bambini sarebbe meglio lasciarli fuori, non è nelle condizioni di riconoscerli, ora. Tra una mezz’ora l’anestetico dovrebbe aver finito il suo effetto, a quel punto potranno entrare anche loro, le va bene?”
“Ma certo, nessun problema. Anna, guarda i ragazzi per una mezz’ora, per favore. E tu, David… ti prego…” lo supplicò la Mamma, senza aggiungere niente.
Lui, per tutta risposta annuì e lei si allontanò, seguendo il Dottore.
“Bene, ragazzi, non fate chiasso, ok? Billie, Holly, perché non andate a prendervi una bibita? Ho visto un distributore nell’ingresso. Fate attenzione, però, e non ciondolate troppo in giro, chiaro?”
“Tranquilla, Anna!” rispose Holly. Poi entrambi afferrarono le due monete che la sorella porgeva loro e schizzarono via.
Trovarono il distributore, presero le loro bibite e girarono per un po’, finché arrivarono al reparto di riabilitazione. Si soffermarono a guardare i poster colorati con i disegni esplicativi delle primarie condizioni igieniche e Billie, quasi inconsapevolmente, si mise a canticchiare la stessa melodia di prima: “Summer has come and pass… The innocent can never last…” ma non trovava un seguito decente.
Nel reparto c’erano una decina di pazienti, per lo più anziani, con fasciature più o meno ingombranti alle braccia o alle gambe. Un vecchietto con una lunga barba bianca salutò Billie: “Ciao, giovanotto! Cosa ci fa un ragazzino sano come te in mezzo a questi vecchi bacucchi malandati?”
Billie sorrise: “Sto aspettando di poter vedere il mio Papà. Sono quasi due settimane che è in Ospedale, ma ora sta meglio!
“Davvero? Beh, spero proprio che stia bene, ragazzo! Dimmi un po’, cos’è che stavi cantando? Non sarà mica una di quelle canzonacce del giorno d’oggi, vero?”
“Oh, no, signore! È una canzone che ho scritto io! Cioè, devo ancora scriverla, ma…”
“Sai, figliolo, che non era niente male? Cantamela di nuovo un po’…”
Così Billie cantò un’altra volta quelle due strofe, poi si bloccò: “Ecco, vede? Non riesco a trovare un seguito…”
Il vecchietto sorrise: “Non ti preoccupare. Tu fa’ una cosa: appena arrivi a casa, scrivi le note per non dimenticartele e metti via lo spartito. Se non ti vengono in mente ora, le parole, ti verranno poi, sta’ sicuro! Se non le trovi adesso, vuol solo dire che non è il momento giusto, tutto qui.”
Billie rispose al sorriso: “Va bene, farò così!”
In quel momento arrivò di corsa Marcy: “Dove vi eravate cacciati, voi due? Forza, andiamo, possiamo entrare da Papà, adesso! Muovetevi!”
Billie fece ancora un cenno al signore e si girò per andarsene. “Ancora una cosa, giovanotto:” lo bloccò l’uomo “come ti chiami?”
“Billie, signore. Billie Joe” rispose, prima di correre via.
“Ah, eccovi! Dove diavolo eravate finiti? Va beh, va beh, fa lo stesso! Forza, muovetevi! E non fate chiasso, deve riposare!” li riprese la Mamma, quando finalmente arrivarono anche loro.
Entrarono nella stanza e videro il Papà sdraiato nel letto, attorniato da macchine che facevano strane luci e fili che terminavano in aghi conficcati nelle sue braccia.
“Andy… Andy, tesoro, apri gli occhi. Saluta i bambini che sono venuti a trovarti. Andy…”
Il Papà aprì a fatica un occhio e abbozzò un sorriso: “Ciao, Ollie. Ciao, ragazzi. Oh, ma siete venuti proprio tutti! Che carini, non dovevate…”
“Non dire sciocchezze, Pà! Non vedevamo l’ora di vederti!” esclamò Holly, posandogli un bacio su una guancia.
Lui la guardò e sorrise: “La mia piccolina, la mia piccola Holly… Come stai, tesoro? E tu, Allen? E David, Anna, Marcy? State tutti bene? La scuola? E Bill? Perché non vedo Bill? Non è venuto?” chiese il Papà, un po’ deluso.
“Ma no, Pà, sono qui!” disse Billie, sporgendosi a salutarlo. Il Papà sorrise: “Ah, eccoti! Scusa, piccolo, non ti avevo visto… Forza, ditemi come state! Voglio sapere cosa succede nel mondo e nella mia famiglia!” li incitò.
Così, chiacchierarono per un po’. Raccontarono al Papà ogni cosa, dal tifone sulla costa orientale ai monelli che imbrattavano di sabbia il bucato della vecchia Clayton. Fu felice, quando sentì che Marcy aveva preso una A nel compito di matematica e se la prese, ma non troppo, quando Allen gli confessò di aver preso una nota dall’insegnante di musica perché l’aveva beccato mentre costruiva grattacieli con i triangoli.
“E tu, Bill, con la tua musica? Hai ancora scritto canzoni?”
David si agitò sulla sedia, ma prima che potesse parlare, Billie disse, entusiasta: “Si, Papà, ne ho scritta ancora una, la scorsa settimana e adesso ne sto facendo un’altra. Però non mi vengono le parole…”
“Prima la musica, Bill, e poi…”
“…e poi le parole. Lo so, lo so. Infatti la musica l’ho quasi finita, sono solo le parole che non riesco a trovare!”
“Forse è perché non senti bene le note. Che dici, con una base ben fatta riusciresti a trovarle?”
“Potrei provarci, sarebbe più facile. Perché?” chiese incuriosito Billie.
Il Papà allora fece un cenno alla Mamma. Lei prese un pacco lungo e affusolato da dietro il comodino traballante e lo porse a Billie, che rimase a bocca aperta con quel regalo tra le mani.
“Allora, non lo apri? Voglio vedere se ti piace”, lo incoraggiò il Papà
Con le mani sudate, Billie scartò lentamente il pacco, mentre Holly tormentava il Papà: “Che cos’è, Pà? Perché l’hai dato a Billie? Volevo anch’io un regalo!”
“L’ho dato a Bill, tesoro, perché so quanto ci tenesse, a questa cosa. E perché voglio che continui a tenerci…”
Billie aveva finito di scartare il pacco: quella che teneva tra le mani era una chitarra elettrica, blu, meravigliosa. Rimase a bocca spalancata con la chitarra in mano ad osservarla estasiato. “L’ho presa da un mio amico rigattiere giù a Berecley e gli ho sostituito le corde. Dovrebbe essere abbastanza intonata. Ti piace?”
Billie non riuscì a spiccicare una parola. Continuava a guardare ad intermittenza la chitarra e il Papà a bocca aperta.
Il Papà lo guardò e scoppiò a ridere: “Bene, figliolo, vedo che ti piace. Sono contento, ora però devi metterti d’impegno: per il mio ritorno a casa voglio sentire quest’ultima misteriosa canzone senza parole completata, è chiaro?”
Billie sorrise, rosso d’eccitazione: “Certo, Pà! Puoi contarci!”
“Bene!”
In quel momento bussarono alla porta: era l’infermiera con lo sgradevole compito di buttarli fuori, perché l’orario delle visite era finito da un pezzo.
Tutti quanti salutarono il Papà e uscirono. “Ciao, Andy. Riguardati.”
“Ciao, Ollie. Non essere triste, stai facendo un lavoro meraviglioso con questi ragazzi: sei una mamma perfetta e loro sono dei figli perfetti. Non vedo l’ora di potermi togliere questi aghi e venire a casa”.
La Mamma sorrise e per un momento non fu più la Mamma, ma solo Ollie. Ollie che fissava Andy ed Andy che fissava Ollie.
Poi aprì la porta e gli fece ancora un cenno di saluto, prima di uscire.
“L’ho visto bene, molto bene, Mamma. Cosa dice il Dottore?”
“Lo hai sentito, Anna, dice che va tutto bene, che il tumore è stato asportato con facilità e che sta rispondendo bene alle cure di controllo”.
“No, Mamma, intendevo cosa ha detto a te che non poteva dire a noi”.
La Mamma rimase in silenzio per qualche momento. Era piuttosto tardi, i bambini erano a letto da un pezzo e non c’era il rischio che potessero sentire.
Sospirò: “Beh… Mi ha detto che è abbastanza sicuro della completa riuscita dell’intervento, a quanto si può vedere dalle TAC e dalle risonanze magnetiche, sembra che siano riusciti ad asportarlo del tutto, solo…”
“Solo… che cosa, Mamma?”
Ancora un attimo di silenzio.
“Solo che dagli ultimi esami sembra che ci sia… una macchia, un’ombra… non so come dire. Il Dottore ha detto che non è niente di preoccupante, probabilmente è solo un’imperfezione nella stampa della radiografia, ma…” Non riuscì a finire la frase, la voce spezzata.
Anna sospirò, prendendo una mano della Mamma e rimasero lì, a guardarsi, per darsi coraggio l’un l’altra.
Dietro la porta chiusa della cucina, Billie strizzò gli occhi e strinse più forte il suo bicchiere vuoto, tornando in camera in punta di piedi.
Si buttò sul letto, ma non pianse come avrebbe voluto fare. Invece si inginocchiò e pregò. Anche se non lo aveva mai fatto, quella volta pregò. Non sapeva come fare, perché nessuno era mai stato ad insegnarglielo, così improvvisò: “Caro Dio, scusa se ti prego solo adesso, ma ho davvero bisogno che tu mi aiuti. Vedi, il mio Papà sta male, ma se tu volessi farlo stare bene, mi faresti un grandissimo favore. Ti prego, ne ho davvero bisogno, di questo favore. Perché ho bisogno del mio Papà. Tutti noi abbiamo bisogno di lui: la Mamma, Holly, Anna, Marcy, Allen e pure David, anche se non sembra.” rimase un momento in silenzio, perplesso sul come terminare “Dai, Dio, non è tanto, quello che ti chiedo, no? Non ti ho mai chiesto niente, questo favore puoi farmelo. Grazie mille, Dio. Se mi fai questo favore, giuro che ti pregherò più spesso per ringraziarti!”
Come avrebbe detto Billie anni dopo, quella sera Dio non era in casa e aveva la segreteria staccata.
Quasi una settimana dopo, all’ora di cena suonò il telefono e già lo squillo prometteva brutte notizie.
“Pronto, casa Armstrong” rispose la Mamma “Si, sono io, mi dica”. Di colpo sbiancò e cominciò a balbettare: “C-complicazioni? Mi scusi, c-che genere di complicazioni?” rimase un attimo in silenzio e poi prese a tirare su col naso, annuendo: “Si, si certo…No, no, nessun… nessun problema. Si, certo, vengo subito!”
Si voltò verso i ragazzi e disse: “Andiamo, salite in macchina, svelti!”
Nessuno chiese spiegazioni.
La Mamma guidò velocemente verso l’Ospedale ed entrarono in fretta.
Ad aspettarli c’era il Dottore dell’altra volta, ma ora non sorrideva. Aveva il viso tirato e quando vide la Mamma, allargò la braccia, lasciandole ricadere sui fianchi: “Mi dispiace” disse solo “Abbiamo fatto il possibile, ma ci siamo resi conto della grandezza del tumore troppo tardi: è ricomparso e si è diffuso molto velocemente. Non ci sono ancora rimedi, per casi del genere. Condoglianze, signora”.
Dopodiché si voltò e sparì in un reparto.
Per un lungo minuto nessuno parlò, pietrificati nella posizione in cui erano.
Poi, con una lentezza terribile, la Mamma si diresse verso una sedia e vi si lasciò cadere: “Andy…” mormorò “Andy…”
Anna le si sedette a fianco e l’abbracciò, ma lei continuava a dondolarsi avanti e indietro e a ripetere il nome del marito.
Pian piano tutti si andarono a sedere vicino alla Mamma, ma Billie rimase immobile.
Alla fine si voltò e chiese: “Ma cos’è successo? Perché piangete? Papà non può mica essere…”
“È morto, stupido! Papà è morto! Lo vuoi capire? Morto, freddo e stecchito! Ed è tutta colpa di questi medici incapaci che con le loro ricette e i loro ‘non si preoccupi’ non riescono a fare niente! Niente! Mio padre è morto per colpa vostra, avete capito? È tutta colpa vostra, fottuti ladri! Ci avete rubato Papà, gli avete rubato la vita per provare i vostri stupidi rimedi inutili! È tutta colpa vostra! Tutta colpa vostra…” esplose David, mentre le lacrime gli scendevano sulle guance, e, a poco a poco, il grido convulso a rabbioso si trasformò in un rantolo e lui scoppiò a piangere senza ritegno.
Solo allora Billie si rese veramente conto di quello che era successo.
Suo padre era morto. Morto. Morto. Andy Armstrong, il più grande jazzista di Rodeo e dintorni era morto. Era il suo Papà. Ed era morto.
Si accasciò in terra e pianse più di tutti. Tra le lacrime inveiva contro l’Ospedale, i dottori e soprattutto verso Dio: “Non mi hai fatto nemmeno questo favore! Sei un bastardo! Un bastardo! Hai fatto morire Papà perché eri invidioso di me, perché tu non ce l’hai, un papà! Ti odio, ti odio, ti odio! Mi senti? Ho detto che ti odio! Non ti aveva fatto niente di male, e tu l’hai fatto morire così! Bastardo! Bastardo!”
Gridò fino a perdere la voce, e poi continuò a piangere.
Ce l’ha con Dio ancora adesso…
Quando arrivarono a casa, Billie giaceva sfinito tra le braccia di Anna. La sorella lo mise a letto, accompagnò a dormire la Mamma e Holly; poi se ne andò a letto anche lei, seguita da David, Marcy e Allen.
Nel cuore della notte, Billie si svegliò. Prese da sotto il cuscino una spartito e una penna e scrisse tutte le note della canzone, poi mise lo spartito in una scatola e la chiuse a chiave in un cassetto.
Guardò fuori dalla finestra: “Te l’ho promesso, Papà: ti canterò questa canzone, quando tornerai a casa…”
«Summer has come and pass,
the innocent can never last,
wake me up when september ends
Here comes the rain again
falling from the stars,
drenched in my pain again,
becoming who we are…
As my memory rests,
but never forgets what I lost,
wake me up when september ends
Like my father’s come to pass,
twenty years has gone so fast
Wake me up when september ends… »
*
«L’estate è arrivata ed è finita,
l’innocenza non può mai durare,
svegliami quando settembre è passato…
Qui arriva di nuovo la pioggia
che cade dalle stelle,
immerso ancora nel mio dolore,
diventando quelli che siamo…
Mentre la mia memoria si riposa,
ma non dimentica mai quello che ho perso,
svegliami quando settembre è passato…
Come mio padre è riuscito a passarli,
vent’anni sono trascorsi così in fretta…
Svegliami quando settembre è passato…»
“Wake me up when september ends”
In molti si sono messi a piangere quando l’hanno letta o quando gli è stata raccontata.
Nonostante questa possa essere una storia “calcata” il + è tt vero: suo padre gli è morto quando lui era 1 bambino e, poco prima di andarsene, gli regalò Blue.
E, se c fate kaso, in Bullet In A Bible, quando la canta gli trema la voce e si vede che ha gli okki lucidi e, dopo averli kiusi, rivolge il suo sguardo al cielo.
Detto questo..
1) svegliare una persona ke dorme già e da scemi, se poi konsideriamo ke questa persona è 1 artista ke va in tour per mesi e ke nn può dormire 1 gran … m sembra + ke da scemi
2) nn puoi lamentarti se t manda a quel paese
3) nn dovresti nemmeno pensare d prenderlo x il kulo su 1 canzone kon un significato del genere!
Hai completamente ragione. Io mi sono messa a piangere dopo aver letto questa storia. Piango anche quando guardo il video live e quello ufficiale, e anche quando ascolto solo la canzone. Sono una persona sensibile. Troppo sensibile. Io mi chiedo come cazzo fate a scrivere cose del genere…VERGOGNATEVI. Non ho parole…se non sapete nemmeno che significato ha la canzone non scrivete cazzate del genere. Pensate se fosse accaduto a voi…sareste contente se qualcuno vi piglia per il culo per una cosa del genere? Pensateci. E vergognatevi per avere scritto quelle cose.