George is on, la recensione
In questi giorni ascolto molto George is on dei Deep Dish. Ho già detto che Dubfire e Sharam, insieme da 14 anni, sono tra i miei produttori preferiti con i suoni dell’est e dell’ovest insieme, i richiami agli anni ’70 e ’80, le atmosfere dark e la capacità di azzeccare la combinazione di groove e bassline.
Il cd si apre con la pop Floating (che sa un po’ di Planet Funk), subito dopo l’inizio ipnotico del groove seventy di Sacramento, cantata da Richard Morel (già da tempo loro collaboratore). La terza traccia è stata il primo singolo dei Deep Dish dopo sei anni, ha il giro di chitarra di Flashdance e ha fatto parte della “guitar-house” l’anno scorso. La cantante è Anousheh Khalili; voce sensuale e adattissima ai Deep Dish. Swallow me è il classico dubbone e mi ricorda il remix di Wrong che fecero per gli Everything But The Girl. Ancora Anousheh per Awake enough: suggestiva. In Everybody’s wearing my head torna Richard come cantante. Segue Say hello, secondo singolo e capolavoro. Canta Anousheh. Anche il video con i due bambini che agli angoli del mondo comunicano attraverso una buca nel terreno rende bene la fusione tra America e Asia. La traccia otto è una cover, e che cover! Dreams dei Fleetwood Mac con i suoni house e la voce di Stevie Nicks! Sarà il terzo singolo. Dub shepherd è un’altra dub ipnotica, mentre Sergio’s theme rilassa. In In love with a friend come vocalist lo stesso Dubfire, anche se con un po’ di autotune. ;) Sexy ill è una delle mie tracce preferite, con suoni scuri e killer. Sembra quasi proseguire in Bagels. L’ultima traccia cantata da Roger è No stopping for nicotine, più pop. Il disco chiude con una bonus track che non è altro che il mashup tra Flashdance e Money for nothing dei Dire Straits realizzato dal dj canadese Sultan.
Credo che sentiremo parlare per un po’ di questo lavoro, anche con i remix che ne verranno alla pubblicazione dei singoli.
Arrivo dal filter… non conosco minimamente, bella descrizione comunque. Da quel che ne ho capito però non fanno per me, anche se di solito si dice “mai dire mai”