Second Life, il naturalista e l’alchimista
Facebook è l’hype del momento, con una presenza sbalorditiva (ma supportata dai numeri degli utilizzatori) anche sui media tradizionali. Due anni fa la stessa presenza era toccata a Second Life. C’è un bel post (da notare il tag deathwatch) su VALLEYWAG che definisce il citatissimo e ormai deprecato mondo virtuale «overhyped» e dichiara finita l’era di Second Life chiosando: «Punta diretto all’irrilevanza».
Reuters (che ha chiuso l’ufficio 3D, come tanti) e WIRED sono ormai attenti ad altro e al momento sembra che rimanga un uso moderato per raduni, eventi culturali e istruzione.
Mi torna in mente una bella metafora usata da Giuseppe Granieri in un’intervista in cui ancora a ottobre scorso definiva «utile» Second Life e si poneva dalla parte di chi ha capito tutto prima degli altri:
«Nell’Inghilterra della tradizione orale, nel Settecento, un nobile che aveva dedicato 10 anni a scrivere un saggio di storia naturale, veniva preso in giro dai suo colleghi di sangue blu: ma come, perdi ancora tempo dietro ai libri?. È tutto normale. Succede e succederà sempre».
Io rimango dalla parte di quelli che “non hanno capito” il fenomeno (e che ne hanno fortemente sconsigliato l’uso ai clienti in contesti di consulenza) e, con quella scienza esatta che è il senno di poi, credo di poter oggi affermare che forse i colleghi di sangue blu contemporanei avevano ragione, che chi ha impiegato il suo tempo dietro a quei libri metaforici non era un novello Linneo e che quella scienza non era la storia naturale. Era l’alchimia.