A New York
Ho sorvolato nuovamente coast to coast gli Stati Uniti, stavolta di notte, partendo lunedì per arrivare martedì. Al banco Delta a San Francisco mi hanno fottuto alla grande perché la signorina mi ha chiesto se volessi un posto vicino alle uscite d’emergenza e io ho risposto sì rimarcando il fatto che così le mie gambe (sono alto quasi un metro e 90) avrebbero avuto più spazio. Risultato: 44F, ultima fila. Ecco perché mi aveva guardato sorniona. Ricordarsi di rispondere «only if bulkhead» la prossima volta.
Guardare le luci dell’America di notte dall’alto mi fa riflettere ancora una volta. Mi impressiona vedere alcune cittadine con file di luci ordinate che si ripetono per isolati interi. Avevano tutto lo spazio che volevano e invece di espandersi come gli pareva hanno pianificato. Io, da palermitano, potrei impazzirne.
Per atterrare al JFK stavolta abbiamo sorvolato Manhattan e ho visto chiaramente i grattacieli, i ponti, “Lady Liberty” (la Statua della Libertà) ed Ellis Island, dove milioni di emigranti italiani approdarono fino al 1954. Tra questi c’era anche mio nonno, mio omonimo. Chissà che cosa gli passava per la testa guardando Ellis Island quel 4 settembre del 1921 dal ponte della Providence. Non poteva certamente immaginare che suo nipote avrebbe visto New York dal cielo per la prima volta.
Ripenso agli italiani, chiamati dispregiativamente Wop per molti anni (non si sa se da “guap'”, guappo, in napoletano o da WithOut Paper/Passport, clandestino) eppure così importanti nella costruzione dell’America. Oggi qui ci amano: l’Italia è il buon cibo, l’alta moda, la Toscana. Mah.
Ho affittato uno studio molto molto molto carino nell’Upper East Side, tra la 3rd avenue e la 73rd street, al settimo piano. Questa sarà la base per il mese a New York. Andando a fare la spesa da Citarella, una specie di gioielleria del cibo, in questo quartiere upper class sento spesso parlare in italiano e in Madison avenue ci sono molti negozi di stilisti.
Nei giorni scorsi ho girato una parte delle principali attrazioni turistiche (sempre piene di italiani), dall’Empire State Building, al ponte di Brooklyn, da Wall Street a Times Square, al Rockefeller Center. E Ground Zero.
A Ground Zero mi sono arrabbiato, non sono riuscito a immaginare le Twin Towers, dov’era la nuvola vista in tv, che cosa sarà rimasto delle torri, degli aerei, di quel trauma. Poco prima avevo visto la cappella di Saint Paul, dove molti degli eroi delle squadre di soccorso, spesso morti dopo per le esalazioni cancerogene, si rifugiarono a pregare e a riposare. C’è una tuta da pompiere, le brande, le foto, le preghiere e le lettere dei bambini delle scuole. Ground Zero fa male, si sta male, è la città ferita, l’America ferita (e ripenso a una poesia di Whitman sul cielo americano/cielo senza bombe), l’umanità ferita da un’altra umanità che non meriterebbe di essere definita così. Mi fa stare male così l’A29 allo svincolo per Capaci, e via D’Amelio.
Chiudo il post stemperando. Gli americani non hanno il piano terra e gli italiani danno di matto. Negli ascensori il 1st floor è il piano terra. Al massimo ci si trova la L che sta per lobby. Se vedete qualcuno che indica i tasti e strabuzza gli occhi spesso è italiano. :D
(crosspostato su Rosalio)
AGGIORNAMENTO: le foto sono qui.
Buon viaggio! Goditi NYC…per un momento ero lì con te…very fascinating place.
Ma non si può svelare che farai di bello a NY?
Davide sono fondamentalmente in vacanza. In California ho avuto qualche appuntamento di lavoro invece. :)