Commenti [ 3 ]

Io “parlo male” di chi se lo merita

Pecora/lupo

Secondo una retorica del successo che si è recentemente diffusa, specialmente nel mondo delle startup, ci sono degli argomenti che non si dovrebbero trattare, delle forme che non si dovrebbero usare, delle parole che non si dovrebbero dire.

È quella retorica della comunità e della condivisione, dello spalleggiamento e del buonismo. Andiamo, sapete di che cosa sto parlando.

Criticare è considerato un segnale di invidia, meglio un complimento (che costa meno, anzi è gratis), invece di dire no sarebbe meglio dire «sì, e…», la parola “io” andrebbe evitata, meglio “noi”. E altre simili “comandamenti” del politically correct.

Ne comprendo lo spirito ma non sempre sono d’accordo.

Come si fa a costruire comunità sane se i soggetti che si rendono responsabili di comportamenti socialmente riprovevoli (ad esempio condotte professionalmente e/o umanamente scorrette) non vengono indicati a chi non li conosce per come agiscono in onore al divieto di critica? Il gregge non deve essere rifugio di qualche lupo e condividere le informazioni (anche in vista di sanzioni sociali) è un valore più alto del “bon-ton” in un gruppo.

Come si ha l’opportunità di valutare e correggere i propri errori senza una schietta peer review fatta anche di quei “no” che fanno crescere? Le critiche possono essere costruttive.

La necessità di fare gruppo non soffoca a volte individualità brillanti sacrificandone i guizzi all’interesse di non lasciare indietro nessuno e di livellare? L’individualismo non è sempre egoismo.

Non abbiate paura quindi di criticare apertamente, di dire no sinceramente, di dire “io” umilmente.