“The facebook effect”, la recensione
Il suo fondatore è l’uomo dell’anno per Time, vale 50 miliardi di dollari, forse 70, si scatena il panico se gira una bufala su una presunta chiusura il prossimo 15 marzo e la politica, l’economia e la cultura ne sono influenzate profondamente. Parlo di facebook, o meglio dell'”effetto facebook”, raccontato a fondo nel libro The facebook effect del giornalista americano di Fortune David Kirkpatrick che ho finito di leggere ormai da qualche settimana.
Kirkpatrick descrive certamente un punto di vista vicino alla visione aziendale di facebook e si è potuto avvalere dei racconti dei protagonisti, Zuckerberg in primis. Ciò non vuol dire che ciò che scrive sia falsato ma dedica poco alle dispute legali su cui si incentra, ad esempio, il film The social network. Vedendo l’uno e leggendo l’altro, probabilmente, ci si può fare un’idea abbastanza esaustiva sulle persone e sull’impresa che stanno cambiando Internet e il modo di comunicare di milioni di persone.
Ma che cos’è questo “facebook effect”? È fondamentalmente un set di fenomeni che si verificano quando il servizio (che Zuckerberg ha sempre indicato come social utility piuttosto che come mero sito) mette in contatto le persone in relazione a una finalità (esperienza, interesse, problema, causa). Kirkpatrick sintetizza qualcosa che conosciamo perché la viviamo in prima persona, quindi.
Il libro segue un filo logico, dall’esordio ad Harvard al trasferimento a Palo Alto, dalla costituzione della società ai problemi con Sean Parker e con la privacy, dall’influenza sulla società al futuro che si potrà delineare. Il testo è scorrevole e cerca di mantenere un equilibrio tra la descrizione dell’approccio di quelli che più volte vengono chiamati college kids (capaci di selezionare programmatori con una lavagnetta esterna simile a quella su cui i ristoranti segnano il menu del giorno ma anche di portare avanti una vision con abnegazione) e lo sconvolgimento portato nel mondo di Internet e della sua industria da una novità forse non ancora compresa né contrastata adeguatamente, salvo poi cercare di investirci a tutti i costi (vedasi Google e Microsoft).
Il libro è assolutamente consigliato. Vedremo se facebook saprà essere la società che Kirkpatrick disegna, desiderosa con il suo amministratore delegato di «rimanere una forza benigna nella Rete e nella società» e portatrice di democrazia (i critici dicono che certi siti sono gestiti in modo fondamentalmente autocratico e che i cittadini potrebbero accettare nei propri stati l’eterodirezione che già vivono in questi contesti), oppure si consoliderà come quello che probabilmente è l’incubo di Tim Berners-Lee: una minaccia alla neutralità del web, un enorme giardino racchiuso da mura invalicabili.
Harvard ;)