Lettera al Che superstar
Non ho ancora parlato di come sto impiegando il tempo libero in attività intellettuali durante il mio soggiorno “stagistico” romano. A differenza che a Palermo, dove sono mortalmente “inchiffarato” (e vai coi termini gergali siciliani! :P), qui ho tempo di leggere e mi hanno pure trascinato al cinema a vedere un film tendenzialmente sinistroide. Ma andiamo per ordine.
La prima settimana qui ho “sottrato” ad Anna Lettera a un kamikaze di Khaled Fouad Allam (che è stato pure mio docente). All’inizio la prosa è poetica e ti colpisce, ma dopo un po’ iniziano riferimenti a interpretazioni dell’islam e filosofia un po’ ostici.
Non so quanto un aspirante kamikaze che legga questo libro possa cambiare idea. Però non è male. Se capita, da comprare.
Un “must” è invece Allah superstar di Yassir Benmiloud! Di questo libro dal finale (non a caso) esplosivo sentiremo parlare molto! In un metadiscorso sul libro (pag. 103) c’è una recensione che l’autore sembra fare non soltanto dello spettacolo del protagonista Kamel Léon, ma al libro stesso:
«Kamel Léon trasuda clandestinamente francofobia sotto le mentite spoglie di un doppio discorso dissimulato, che mescola confusamente postulati islamici a bestemmie mordaci, qualunquismo antisemita a invettive islamofobe, meccanismo che si rivela tanto schizofrenico quanto indigesto, in ogni caso adatto a confondere qualsiasi lettura e a indagare qualsiasi approccio critico. Lo stand up del camaleonte conserva tuttavia delle innegabili qualità ansiogene e in questo senso è sintomatico del disagio delle periferie, in particolare di Evry, dato che Kamel Hassani ne è il frutto amaro, una granata all’occorrente».
Yassir è un algerino che vive in Francia e scrive in maniera deliziosamente caustica, tagliente, irriverente! Ce n’è per tutti: islamici, ebrei e cristiani.
Grazie a Rudy che mi ha fatto venire la curiosità!
Domenica pomeriggio ho visto I diari della motocicletta, il film sul viaggio del giovane Che “Fuser” Guevara per l’America latina. A parte lo stile “sfasciato” del film, “on the road” e in spagnolo sottotitolato (e pure con parecchi omissis e “lost in translation”), devo dire che non mi è dispiaciuto.
In particolare, mi sono sentito vicino alla figura del protagonista che non vuole proprio mentire, anche se si tratta di dire cose sconvenienti, e che ama le sfide. Mi ha colpito anche la frase finale:
«Il personaggio che ha scritto questi appunti è morto quando è tornato a posare i piedi sulla terra d’Argentina, e colui che li riordina e li ripulisce, “io”, non sono io; per lo meno, non si tratta dello stesso io interiore. Quel vagare senza meta per la nostra “Maiuscola America” mi ha cambiato più di quanto credessi».
Questa frase me la sento addosso, in questo momento e in questi mesi.